Come funzionano le vene

Negli arti inferiori, le vene si distinguono in tre diverse categorie:
• i sistemi superficiali, che drenano la superficie degli arti;
• le vene perforanti, circa 140 per arto, che funzionano come dei sifoni drenando il sangue venoso superficiale nei condotti profondi;
• le vene profonde, che si trovano all’interno dei muscoli degli arti inferiori.
• Le vene superficiali degli arti inferiori drenano circa il 10% del sangue che circola nelle gambe, mentre tutto il resto viene veicolato verso il cuore dal sistema profondo.
Le Patologie venose

Da circa 3 millenni le vene varicose sono una delle malattie più diffuse a livello mondiale. La prevalenza, che rappresenta il numero di persone con varici in un definito spazio temporale e in una specifica popolazione, è del 10-33% nelle donne e del 10-22% negli uomini. L’incidenza annuale, il numero di nuovi casi di malattia in una specifica popolazione, è per le donne del 2,6% mentre per gli uomini del 1,9%.
Nell’85% dei casi di malattia venosa cronica esiste una predisposizione familiare. La patologia colpisce maggiormente la popolazione occidentale e i pazienti di sesso femminile (con un rapporto femmine/maschi di 3 a 1). Inoltre la malattia varicosa si correla linearmente con l’età dei pazienti: si stima che in Italia colpisca il 7-35% degli uomini fra i 35-40 anni e il 15-55% di quelli oltre i 60 anni, il 20-60% delle donne fra i 35-40 anni e il 40-78% delle pazienti oltre i 60 anni.
I sintomi della malattia venosa cronica
• Teleangectasie e venulectasie
• Varici visibili e palpabili
• Pesantezza e stanchezza degli arti inferiori
• Crampi notturni
• Edemi declivi
• Prurito
• Dolore fino alla claudicazione venosa
• Ipodermite
• Pigmentazioni cutanee
• Eczemi varicosi
• Varicorragie
• Ulcere
La sintomatologia è più accentuata nei mesi caldi perché le vene tendono a dilatarsi di più, mentre durante il periodo invernale il problema si ridimensiona.
Le cause della malattia varicosa
Anomalie primitive della parete venosa e alterazioni secondarie a reflusso e/o ostruzione portano gradualmente nel tempo alla formazione delle varici. Nell’insufficienza venosa le vene si dilatano e le valvole non sono in grado di consentire una completa chiusura; per questo motivo il sangue venoso non riesce a tornare correttamente verso il cuore.
Tra le cause maggiormente coinvolte nel processo della malattia varicosa si riconoscono la familiarità, l’ortostatismo prolungato (stare in piedi per tante ore), L’essere in sovrappeso, le gravidanze, i lavori pesanti che comportino una prolungata stazione eretta (per esempio negozianti, cuochi, camerieri, banconieri ecc.) oppure la prolungata stazione seduta (autisti, impiegati ecc.). Altri fattori coinvolti nella genesi della patologia venosa sono: frequenti esposizioni a fonti di calore, abitudini ad assumere posizioni non corrette, difetti di postura dei piedi e calzature che ostacolino la pompa plantare, stipsi cronica, malformazioni vascolari, precedenti trombosi venose.
Teleangectasie

Le teleangectasie possono essere il segno di un problema più esteso, la cui corretta diagnosi e terapia deve essere affrontata prima dell’inizio di un trattamento estetico. L’esame principe per la diagnostica è l’ecocolordoppler delle vene degli arti inferiori.Fattori che contribuiscono allo sviluppo delle teleangectasie
• Genetica
• Gravidanza
• Ormoni
• Età
• Sesso
• Stile di vita sedentario
• Trauma
Sintomi clinici delle teleangectasie
• Dolore
• Prurito
• Bruciore
• Sanguinamento
Il trattamento più diffuso delle teleangectasie consiste nell’iniettare al loro interno una soluzione chimica (sclerosante). Questo è molto semplice da fare e si esegue in regime ambulatoriale, dopo una prima visita clinica associata sempre ad uno studio ecografico delle vene (ecocolordoppler). La soluzione chimica iniettata provoca una fibrosi del vaso sanguigno per chiuderlo fino a farlo scomparire.
Venulectasie e vene reticolari
Le sedi più colpite dell’arto sono la faccia mediale e laterale di coscia e il poplite.
Prima di procedere con il trattamento delle venulectasie bisogna trattare le vene reticolari.
Il trattamento più diffuso delle vene reticolari consiste nell’iniettare al loro interno una soluzione chimica (sclerosante). Questo è molto semplice da fare e si esegue in regime ambulatoriale, dopo una prima visita clinica associata sempre ad uno studio ecografico delle vene (ecocolordoppler). La soluzione chimica iniettata provoca una fibrosi del vaso sanguigno per chiuderlo fino a farlo scomparire.
Vene varicose agli arti inferiori
La vena grande safena (VGS) e la vena piccola safena (VPS) sono i due principali sistemi venosi superficiali degli arti inferiori. La VGS è la più lunga vena superficiale e si estende dall’inguine al piede. La vena piccola safena va dal cavo popliteo fino al malleolo esterno. Molte vene superficiali si diramano sia nella VGS sia nella VPS.
Sistema venoso profondo
Il sistema profondo trasporta la stragrande maggioranza del flusso di sangue proveniente dalle gambe verso il cuore e comprende la vena femorale, poplitea, tronco tibioperoneale, tibiali anteriori, posteriori, vene gemellari, peroneali, e del soleo. La funzionalità e la fisiologia del sistema venoso sono davvero complesse.
La sintomatologia dell’insufficienza venosa cronica include dolore ed edema agli arti inferiori, crampi, senso di pesantezza, prurito. La severità della sintomatologia viene espressa dalla classificazione CEAP, come precedentemente descritto.
Oltre all’insufficienza venosa cronica, ci sono molte ragioni per cui le gambe si gonfiano: il sovrappeso, il linfedema per alterazione del drenaggio linfatico, l’insufficienza renale, la presenza di patologia cardiaca e la terapia farmacologica associata.
Non è raro che durante la gravidanza si sviluppino delle vene varicose. Si verifica di solito nel primo trimestre per aumento della pressione addominale e per le alterazioni ormonali. La maggior parte dei sintomi può essere alleviata dalla terapia conservativa, con norme igienico-comportamentali e con l’elastocompressione. Il trattamento della malattia varicosa viene posticipato dopo il termine della gravidanza; tuttavia, alcune condizioni come tromboflebiti o emorragie spontanee richiedono un trattamento immediato.
Varici pelviche

Si manifestano con varici palpabili, dolore nella regione pelvica (che può essere accentuato durante il ciclo mestruale e con i rapporti sessuali) e disuria. Si possono inoltre associare sintomi e segni di insufficienza venosa degli arti inferiori.
La diagnosi viene posta con l’esecuzione di ecocolordoppler degli arti inferiori, ecografia pelvica e transvaginale, TC/RMN, e venografia.
Vari approcci invasivi e non invasivi sono disponibili per il trattamento della sindrome da congestione pelvica. Nel 50-80% dei pazienti la sintomatologia regredisce dopo procedure scleroterapiche e/o di embolizzazione percutanea. La terapia farmacologica ormonale determina la soppressione della funzione ovarica; consente di ottenere un miglioramento iniziale della sintomatologia, ma la sua efficacia a lungo termine non è provata. L’intervento chirurgico di isteroannessiectomia e di annessiectomia è un’alternativa efficace nei casi non responsivi ad altra terapia.
Flebite e tromboflebiti superficiali
La flebite può avvenire spontaneamente o essere determinata da una procedura medica-chirurgica, un trauma locale, o dalla stasi del flusso sanguigno in una vena varicosa. I fattori di rischio di trombosi venosa superficiale comprendono l’insufficienza venosa cronica (70% dei casi), neoplasie, trombofilia, gravidanza, terapia con estroprogestinici, obesità, pregresso tromboembolismo venoso, scleroterapia, utilizzo di cateteri intravenosi, malattie sistemiche autoimmuni (Behcet, Lupus, connettiviti), morbo di Buerger (flebiti migranti), e traumi.
La cute limitrofa alla vena appare arrossata, calda, gonfia ed estremamente dolente; a volte è associata ad iperpiressia; in caso di tromboflebite superficiale si apprezza la presenza di un cordone palpabile.
La diagnosi di trombosi venosa superficiale nella maggioranza dei casi è clinica, ma necessita di un supporto strumentale (ecocolordoppler) per tre motivi: per confermare la diagnosi (diagnosi differenziale con cellulite, erisipela, linfangite, nelle quali gli assi venosi sono pervi e comprimibili); per stabilire l’estensione della trombosi; per escludere una concomitante trombosi venosa profonda. Fondamentale è la ricerca dell’interessamento delle giunzioni safeno-femorale e safeno-poplitea, che rappresentano le eventuali maggiori porte di ingresso al sistema venoso profondo.
Le tromboflebiti superficiali si possono infatti complicare: è documentata una associazione di 6-44% con la trombosi venosa profonda, 20-33% con embolia polmonare asintomatica, e 2-13% con embolia polmonare sintomatica.Come si trattano la flebite e la tromboflebite?
Gli obiettivi della terapia sono i seguenti: risolvere i sintomi dolorosi locali; prevenire l’estensione della trombosi; prevenire la recidiva di trombosi; prevenire il tromboembolismo venoso che può complicare la storia naturale della malattia.
Il trattamento prevede il bendaggio elastocompressivo, la terapia con farmaci antidolorifici, antiinfiammatori topici ed anticoagulanti (eparine a basso peso molecolare, pentasaccaride e raramente anticoagulanti orali).
L’eparina a basso peso molecolare associata a elastocompressione graduata per venti-trenta giorni è probabilmente la migliore opzione terapeutica per la trombosi venosa superficiale nella maggiore parte dei casi (riducendo significativamente l’incidenza di estensione della trombosi o la recidiva trombotica di circa il 70% rispetto al placebo, con simile efficacia e sicurezza).
Quando la testa del trombo è localizzata vicino alla giunzione safeno-femorale e alla giunzione safeno-poplitea, per l’alto rischio di trombosi venosa profonda e/o embolia polmonare, sembra ragionevole un regime terapeutico anticoagulante di almeno 4-6 settimane.
Trombosi venosa profonda
La probabilità preclinica è definita sulla base dello score di Wells (vedi tabella); la probabilità può essere alta (punteggio ?3, rischio 75%), moderata (punteggio 1-2, rischio 17%), o bassa (punteggio 0, rischio 3%).
Il dosaggio del D-dimero risulta aumentato in presenza di una TVP; tuttavia sono molteplici le patologie in cui si può innalzare. Non è attualmente consigliabile utilizzare questo test nei pazienti asintomatici ad alto rischio, o in pazienti sintomatici ospedalizzati. Se i valori di D-dimero sono elevati, è opportuno eseguire un ecocolordoppler venoso degli arti inferiori.
L’ecocolordoppler con compressione CUS è l’esame strumentale di prima scelta nella diagnosi di TVP: in presenza di un trombo intraluminale, il vaso risulta non comprimibile.
La trombosi venosa profonda viene distinta in prossimale (iliaca-femorale-poplitea) o distale (se solamente a carico dei tronchi sottopoplitei): la TVP prossimale è a maggiore rischio di determinare eventi embolici.Come si tratta la trombosi venosa profonda?
La terapia anticoagulante e il bendaggio elastocompressivo sono il cardine del trattamento della trombosi venosa profonda.
Pazienti con diagnosi di trombosi venosa profonda devono essere trattati con terapia anticoagulante orale, inizialmente embricata con eparina a basso peso molecolare o fondaparinux.
La terapia anticoagulante con Warfarin-Coumadin inibisce la produzione epatica di fattori vitamina K dipendenti; necessita di costante monitoraggio dei parametri della coagulazione (valori di INR da mantenere tra 2 e 3) per la corretta definizione della dose di somministrazione. Dosaggi eccessivi determinano un aumentato rischio di sanguinamento (normalmente compreso tra 1,5-5%). La terapia va iniziata contemporaneamente all’eparina a basso peso molecolare, e successivamente proseguita da sola una volta raggiunto il range terapeutico di INR.
Le eparine a basso peso molecolare vengono somministrate per via sottocutanea. Inibiscono il fattore Xa della coagulazione, determinando la formazione di un complesso ternario Eparina-Antitrombina III-Trombina. Rispetto all’eparina non frazionata hanno maggiore effetto anticoagulante con minore rischio emorragico. Vengono metabolizzate a livello renale, per cui bisogna prestare particolare attenzione nei pazienti con insufficienza renale acuta e cronica. Come effetti collaterali possono determinare sanguinamento (rischio 1,2%) e trombocitopenia.
Il Fondaparinux è un pentasaccaride sintetico, assunto in un’unica somministrazione per via sottocutanea. È un inibitore specifico del fattore Xa e non influisce sull’ attività piastrinica.
Nuovi farmaci anticoagulanti sono attualmente in studio. Essi comprendono inibitori diretti del fattore Xa (Rivaroxaban, Apixaban, Betrixiban, Edoxaban) inibitori del fattore IIa (Dabigatran, Odiparcil). Dovrebbero consentire una più semplice somministrazione, con ridotti rischi emorragici.
L’elastocompressione deve essere mantenuta per almeno 3 anni, anche una volta risolto l’episodio acuto di trombosi venosa profonda, per ridurre l’incidenza di complicanze e manifestazioni croniche come la sindrome post-trombotica.
Ulcera flebostatica
Un’ulcera è una ferita con perdita di sostanza che presenta scarsa o nulla tendenza alla guarigione. L’ulcera flebostatica è l’espressione finale della malattia venosa cronica.
una patologia molto invalidante per la qualità di vita del paziente e di elevato significato sociale in termini sia di spesa sanitaria sia di perdita di giornate lavorative.
Esistono differenti tipi di ulcere?
Le ulcere sono determinate da una lesione primitiva o secondaria delle strutture vascolari e possono avere molteplici origini. Un danno diretto ai vasi sanguigni è presente nelle ulcere venose (che sono le più frequenti, costituendo il 70-80% del totale), arteriose, miste, e microangiopatiche. Le ulcere da lesione secondaria possono essere provocate da ipertensione arteriosa, da cause chimico-fisiche, neuropatiche, infettive, metaboliche, reumatologiche, ematologiche e neoplastiche.
Qual è la causa di un ulcera flebostatica?
I meccanismi patogenetici alla base dell’ulcera sono ancora in fase di studio. L’ulcera flebostatica è una manifestazione della malattia venosa cronica, legata a insufficienza venosa superficiale, a trombosi venosa profonda (nella sindrome post-trombotica), e a malformazioni venose periferiche. Il reflusso, l’ostruzione e il malfunzionamento della pompa muscolare determinano una alterazione dell’emodinamica, con un quadro di ipertensione venosa.
Si sviluppa inoltre una risposta infiammatoria locale a livello del microcircolo e dei capillari, con reazioni concatenate che comprendono l’attivazione della cascata coagulativa e la perdita del glicocalice (sottile strato formato da glicosaminoglicani che protegge l’endotelio). Il danno al glicocalice determina l’aumentata adesività dei leucociti e delle piastrine alla parete endoteliale, la perdita delle proprietà antitrombotiche, il rilascio di citochine infiammatorie e l’attivazione delle metalloproteinasi, portando un danno cellulare e a un’alterazione della permeabilità vasale.
Come si manifesta un’ulcera flebostatica?
La sede più comune delle ulcere è peri-malleolare o sovra-malleolare. Spesso nascono come conseguenza di un piccolo trauma sulla cute resa fragile dai segni dell’insufficienza venosa: edema, iperpigmentazione, atrofia bianca e lipodermatosclerosi. La ferita ha la tendenza a non guarire e ad allargarsi progressivamente.
Le ulcere possono essere del tutto asintomatiche o diventare dolenti e secernere essudato; si possono inoltre complicare con infezioni e sanguinamenti.
Le lesioni ulcerose sono indice di uno stadio severo e avanzato della malattia venosa cronica; la classificazione CEAP (Clinica, Eziologia, Anatomia, Patogenesi) identifica la presenza di un’ulcera rispettivamente come classe C5 e classe C6, a seconda che la lesione sia cicatrizzata o in fase attiva.
Come viene posta una diagnosi di ulcera?
Un’accurata anamnesi deve indagare la storia patologica personale e familiare del paziente, come e quando è insorta l’ulcera, se è dolente, se è associata a parestesie e disestesie, le situazioni in cui la sintomatologia diventa più importante (durante la deambulazione, il riposo, in posizione antideclive), e le cure già eseguite o in corso.
L’esame clinico valuta il numero delle lesioni, le loro caratteristiche (forma, dimensione, profondità, aspetto dei bordi e del fondo), la sede in cui si sono formate e le condizioni della cute e degli annessi circostanti. Inoltre, l’esame semeiologico vascolare analizza la presenza di varici, la sfigmia dei polsi arteriosi periferici, i valori di pressione arteriosa, la circonferenza degli arti e la presenza di edema.
Gli esami strumentali che possono essere eseguiti per una corretta definizione diagnostica dell’ulcera comprendono l’ecocolordoppler, la pletismografia, le radiografie loco-regionali, e gli esami microbiologici colturali. L’ecocolordoppler venoso degli arti inferiori permette di valutare la pervietà dell’asse venoso, di fare diagnosi di trombosi, di valutare la continenza del circolo superficiale e profondo, la presenza di un reflusso e di un danno valvolare.
Può essere necessaria l’esecuzione di una biopsia dei tessuti della lesione; l’esame istologico è indicato nel sospetto di una patologia maligna e nelle ulcere che non presentano segni di miglioramento clinico nonostante l’impostazione di un corretto trattamento terapeutico di durata superiore a un mese.
Qual è il trattamento dell’ulcera flebostatica?
Secondo le attuali linee guida per la malattia venosa cronica, il trattamento primario per la guarigione delle ulcere flebostatiche è l’elastocompressione. Viene eseguita in forma di bendaggio o di calza elastica e consente una riduzione dei valori di pressione venosa. Risulta fondamentale anche nella prevenzione delle ulcere. Ad essa vanno associati le medicazioni, il trattamento farmacologico e la correzione della malattia venosa cronica.
Le regolari medicazioni, di solito a cadenza settimanale in ambiente ambulatoriale, consentono la detersione della lesione, eliminando l’essudato infiammatorio e il tessuto necrotico, e favorendo la crescita di tessuto sano di granulazione. Esistono inoltre delle medicazioni avanzate, che rappresentano dei presidi in grado di accelerare la guarigione dell’ulcera; si possono distinguere in assorbenti, antibatteriche, favorenti il microambiente adatto alla guarigione, stimolanti la rigenerazione tissutale.
Quali farmaci sono indicati nel trattamento delle ulcere flebostatiche?
I bersagli del trattamento farmacologico sono l’emodinamica venosa (farmaci flebotropi), lo stato flogistico della parete endoteliale (glicosaminoglicani) e la cascata coagulativa (eparinoidi e anticoagulanti).
La somministrazione di pentossifillina e di flavonoidi, che hanno un’azione flebotonica, è stata approvata in combinazione alla compressione elastica, per accelerare la guarigione delle ulcere venose.
I glicosaminoglicani intervengono sulla risposta infiammatoria endoteliale con una azione pleiotropica di protezione vasale e ripristino della funzionalità microcircolatoria. Il Mesoglicano agisce a livello endoteliale e subendoteliale, con effetto antitrombotico, profibrinolitico e antiedemigeno.
Quali procedure si possono associare nel trattamento dell’ulcera?
Per prevenire la formazione di un’ulcera flebostatica, consentirne la guarigione ed evitarne la recidiva è importante correggere la malattia venosa che ne è stata l’origine, attraverso interventi di flebochirurgia come l’ablazione termica con tecnica Laser, la legatura e stripping dei sistemi safenici e la scleroterapia.
Nelle ulcere di dimensioni più estese può essere necessaria l’esecuzione di un innesto cutaneo a causa dell’importante perdita di sostanza. Gli innesti vengono generalmente prelevati dal paziente stesso con un piccolo intervento, ma sono stati recentemente introdotti dei sostituti ingegnerizzati del derma (cellule epidermiche, fibroblasti e cheratinociti coltivati su matrici biocompatibili) che permettono di stimolare i processi riparativi compromessi, consentendo la ricostruzione di un tessuto cutaneo completo.
L’ossigenoterapia iperbarica può essere associata al trattamento multidisciplinare delle ulcere. è una terapia sistemica basata sulla respirazione dell’ossigeno ad alta concentrazione e ad alta pressione, che favorisce la normale tendenza dei tessuti alla guarigione spontanea.
Varicorragia

Patologia emorroidaria

Qual è la causa delle emorroidi?
I principali fattori di rischio per la patologia emorroidaria sono associati ad un ostacolato scarico venoso dei plessi emorroidari, che li rende progressivamente congesti, sensibili a traumi, con tendenza a prolassare all’esterno del canale anale e sanguinare. La sintomatologia si manifesta maggiormente in soggetti di elevato stato economico-sociale, di età compresa tra 45 e 65 anni di entrambi i sessi; i fattori di rischio comprendono l’irregolarità dell’alvo, l’abuso di lassativi, la predisposizione ereditaria, e tutte le condizioni che determinano un aumento della pressione endoaddominale (come gravidanza, ascite, patologia intestinale, neoplasie pelviche).
Sono state proposte numerose ipotesi eziologiche alla base della patologia emorroidaria, tra cui le principali sono l’iperafflusso vascolare dei plessi emorroidari e il cedimento/degradazione della componente connettivale.
Come si classificano le emorroidi?
In base alla loro localizzazione le emorroidi vengono distinte in esterne ed interne.
Le emorroidi esterne si trovano al di sotto della linea pettinea, originano dal plesso emorroidario inferiore e sono ricoperte da cute molto sensibile; possono sanguinare e diventare molto dolenti in presenza di trombosi.
Le emorroidi interne sono situate al di sopra della linea pettinea, sono formate dal plesso emorroidario superiore e medio, sono ricoperte da mucosa che normalmente non è sensibile al tatto, al dolore e alla temperatura. Si manifestano generalmente con sanguinamento non dolente e prolasso. In base all’importanza del prolasso vengono suddivise nei seguenti gradi:
• Grado I: assenza di prolasso con emorroidi confinate all’interno del canale anale;
• Grado II: prolasso emorroidario, durante il ponzamento e la defecazione, che si riduce spontaneamente;
• Grado III: prolasso emorroidario, durante il ponzamento e la defecazione, che richiede una riduzione manuale all’interno del canale anale;
• Grado IV: prolasso non riducibile, indipendentemente dal ponzamento e dalla defecazione.
Che sintomi determinano le emorroidi?
Circa il 5% della popolazione presenta dei sintomi legati alla patologia emorroidaria: sanguinamento, prurito e bruciore perianale, prolasso, tenesmo, dolore. Sanguinamenti abbondanti e per lunghi periodi di tempo possono determinare la comparsa di una anemia sideropenica. Il dolore raramente è il sintomo predominante e risulta associato alle complicanze delle emorroidi.
La sintomatologia può essere causata dalle emorroidi interne, esterne o da entrambe. Le emorroidi interne provocano principalmente sanguinamento, prolasso, tenesmo, in assenza di dolore; alcuni pazienti lamentano anche la perdita di muco con la defecazione. Le emorroidi esterne si manifestano con la presenza di una tumefazione perianale di colorazione rosso-blu dolente, con episodi di sanguinamento e trombosi; il dolore di solito è costante e può diventare molto severo.
Come viene posta la diagnosi di patologia emorroidaria?
Un’accurata anamnesi deve indagare la predisposizione ereditaria, le abitudini alimentari e lo stile di vita del paziente, la regolarità dell’alvo, le eventuali comorbidità, e la presenza dei sintomi.
L’esame obiettivo consiste nell’ispezione della regione perianale e nella esplorazione rettale, valutando le caratterisiche delle lesioni cutanee/mucose, la loro dolenzia, la presenza di muco, di tracce ematiche o di un sanguinamento attivo.
La visita clinica viene completata dall’esecuzione di una anoscopia che permette di porre diagnosi di patologia emorroidaria, di definirne il grado e la presenza di complicanze.
Test di laboratorio ed esami radiologici non sono usualmente necessari.
I sintomi sono esclusivi della patologia emorroidaria
Sanguinamento, dolore, prurito e tenesmo non sono sintomi esclusivi delle emorroidi, per cui devono essere valutate ulteriori patologie concomitanti o alternative, per ottenere una corretta diagnosi e impostare un trattamento adeguato.
È importante escludere la presenza di una neoplasia come il carcinoma intestinale e anale: non esiste nessuna correlazione tra le emorroidi e il cancro, ma il sanguinamento rettale è un sintomo del tumore del colon-retto, ed è consigliabile che i pazienti, anche con diagnosi accertata di patologia emorroidaria, eseguano una colonscopia per escludere la presenza di una patologia neoplastica.
Altre lesioni della regione ano-rettale con cui va posta diagnosi differenziale comprendono:
• ragade anale: è una ulcerazione longitudinale dell’epitelio del canale anale, generalmente a livello della commissura posteriore, determinata da un ipertono dello sfintere anale interno, con • • scarsa tendenza alla guarigione spontanea; si manifesta con dolore intenso, sanguinamento e bruciore, accentuati durante la defecazione;
• ascessi e fistole, per infezioni delle regioni perianali, spesso associati alle malattie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa; si manifestano con • tumefazioni dolenti, iperpiressia, perdite ematiche e/o purulente;
• condilomi: formazioni cutanee causate da Papilloma Virus, a trasmissione sessuale;
• infezioni cutanee e micosi della regione perianale.
Come vengono trattate le emorroidi?
Esistono numerosi trattamenti per la patologia emorroidaria, a seconda del tipo di emorroide e della severità dei sintomi. Nelle forme meno severe il cambiamento dello stile di vita e l’applicazione di corrette norme igienico-comportamentali sono sufficienti a determinare una remissione dei sintomi e il controllo della patologia. Nelle forme più severe è tuttavia necessario associare ulteriori trattamenti, che variano dalle procedure ambulatoriali agli interventi chirurgici.
Quali cambiamenti bisogna fare nelle abitudini e nello stile di vita?
I principali cambiamenti sono rivolti ad una regolarizzazione dell’alvo:
• abbondante apporto idrico con la dieta (almeno 2 litri/die);
• dieta ricca di fibre;
• esecuzione di regolare esercizio fisico;
• eventuale utilizzo di lassativi osmotici, con iniziale embricazione con oli misti, evitando lassativi a base di senna che possono provocare diarrea con un peggioramento clinico della sintomatologia.
• è utile eliminare cibi piccanti e speziati dalla dieta, ridurre l’assunzione di alcolici, eseguire più volte al giorno semicupi con acqua tiepida, e mantenere una accurata igiene della regione perianale evitando di creare lesioni e abrasioni con la carta igienica.
Quali sono i farmaci per la cura della patologia emorroidaria?
La terapia farmacologica è indicata nella patologia emorroidaria di grado lieve (I-II). Esistono farmaci a somministrazione orale e topica (con applicazione locale in forma di pomate, supposte, gel rettale). Sono spesso associazioni di antidolorifici, anestetici, antiinfiammatori (non steroidei e a base di mesalazina), e cortisonici.
Esistono inoltre dei prodotti che intervengono direttamente a livello delle vene dei plessi emorroidari, con effetto antitrombotico e venotonico. Sono sostanze a base di eparina, flavonoidi, mesoglicano e glicosaminoglicani. I flavonoidi agiscono a livello delle vene, diminuendone la distensibilità e riducendo la stasi, e della microcircolazione, normalizzando la permeabilità e aumentando la resistenza capillare.
Il Meoglicano (in capsule o soluzione intramuscolo) è un farmaco antitrombotico e ha una efficace attività antiedemigena modificando la permeabilità selettiva dell’endotelio.
Quali sono i trattamenti ambulatoriali?
I trattamenti ambulatoriali vengono eseguiti durante una visita proctologica e sono indicati nelle emorroidi interne di grado I e II (e in alcuni casi III) che non hanno presentato benefici dal cambiamento delle norme comportamentali.
Comprendono:
• legatura elastica delle emorroidi: durante l’anoscopia, con uno strumento apposito viene applicato un elastico alla base dell’emorroide, provocandone la necrosi ischemica; va sempre eseguita al di sopra della linea pettinea per risultare una procedura non dolorosa; vengono trattate una o due emorroidi a seduta, con cicli di 3-4 sedute; può essere associata alla sclerosi; alla caduta del laccio elastico il paziente può presentare una lieve rettorragia;
• sclerosi delle emorroidi: l’iniezione di agenti sclerosanti (come fenolo al 5%, chinina e sodio tetradecilsolfato) durante l’anoscopia causa la fibrosi dei cuscinetti venosi; è controindicata in presenza di emorroidi infiammate e/o gangrenose;
• crioterapia: viene ottenuta con ossido nitrico (da -60°C a -80°C) o con azoto liquido (-196°C); come complicanza può determinare la necrosi dello sfintere anale interno con stenosi anale e/o incontinenza;
• fotocoagulazione a infrarossi e con radiofrequenza: in cui il tessuto emorroidario viene coagulato con una conseguente fibrosi.
Quali sono gli interventi chirurgici e quando sono indicati?
Solo il 5-10% dei pazienti con diagnosi di patologia emorroidaria richiede un trattamento chirurgico. La chirurgia garantisce buoni risultati ma è associata a complicanze e viene riservata alle emorroidi di grado IV e, in caso di fallimento delle tecniche ambulatoriali, alle emorroidi di grado II-III.
L’emorroidectomia consiste nella legatura dei peduncoli emorroidari con asportazione del tessuto emorroidario in toto e viene eseguita con differenti tecniche. Le ferite possono essere lasciate guarire per seconda intenzione (secondo Milligan-Morgan), con sutura completa con materiale riassorbibile (secondo Ferguson), con sutura della sola componente mucosa lasciando la porzione cutanea aperta a scopo drenante (secondo Parks). L’intervento di emorroidectomia può essere eseguito anche con appositi strumenti di coagulazione e sintesi a radiofrequenza (LigaSure), comportando una minore durata della procedura ed una riduzione delle perdite ematiche intra e post-operatorie.
L’emorroidopessi è indicata nelle emorroidi interne di II-IV grado, soprattutto se associate a prolasso mucoso; attraverso l’utilizzo di una suturatrice meccanica circolare (secondo Longo) o semicircolare (secondo Starr) viene resecata la mucosa 2-3 cm al di sopra della linea pettinea determinando il riposizionamento dei cuscinetti emorroidari all’interno del canale anale.
La legatura arteriosa emorroidale consiste nella legatura selettiva dei vasi arteriosi che alimentano le emorroidi, individuati grazie all’utilizzo di una sonda Doppler per via transanale.
Questi interventi vengono eseguiti in anestesia locale associata a sedazione o in anestesia spinale. Le complicanze precoci comprendono dolore, emorragia, ritenzione urinaria; le complicanze tardive sono emorragie, recidive, stenosi cicatriziali, ritardo di cicatrizzazione nella emorroidectomia, deiscenza della sutura ed ematomi retroperitoneali nell’emorroidopessi.
Una recente innovazione per il trattamento delle emorroidi di II-III grado è stata l’introduzione della tecnica Laser per la fotocoagulazione dei rami dell’arteria emorroidaria, individuati grazie all’utilizzo di una sonda Doppler. è una tecnica indolore, di rapida esecuzione, in grado di ridurre il sanguinamento intra e post-operatorio, e di consentire al paziente una immediata ripresa dell’autonomia e delle proprie attività (figura 50 e 51).
Come si interviene nella trombosi emorroidaria?
La trombosi emorroidaria provoca un dolore molto intenso, rendendo a volte difficile o impossibile l’esecuzione dell’esplorazione rettale e dell’anoscopia. L’emorroide trombizzata può essere incisa o ridotta: l’incisione dà un beneficio immediato ma spesso non risulta definitiva; la riduzione deve essere eseguita a piatto con una adeguata copertura antidolorifica (locale e sistemica).
Una volta risolto l’episodio acuto, è importante eseguire una visita proctologica completa, per definire la severità della patologia ed impostare il corretto trattamento.
- Questa immagine mostra il funzionamento di una valvola venosa sana, che chiude correttamente il flusso sanguigno
- In questa immagine il Kit per la procedura endovascolare
- Questa sequenza di immagini mostra il funzionamento della terapia endovascolare, dove la vena viene obliterata mediante il laser
- Esecuzione di una procedura endovascolare
- Prima e dopo il trattamento endovascolare: il beneficio, anche estetico, è evidente
- In questa immagine il dottor Kontothanassis utilizza una pompa peristaltica per l'esecuzione dell'anestesia locale tumescente sotto la guida ecografica in ambulatorio